Ogni nazione costruisce un’immagine di sé lontana dalla realtà, un’immagine in cui vengono rimossi con perizia tutti gli elementi ombrosi che possano sporcarla o appannarla. Un’immagine falsa e rassicurante che lava la coscienza e serve alla propaganda. Per l’Italia questa immagine è costituita della frase: italiani brava gente! In Acqua di colonia del duo Frosini e Timpano si smonta con graffiante e impietosa ironia questa falsa immagine: nelle colonie dell’Africa Orientale l’Italia ha commesso i suoi peggiori crimini di guerra. Il massacro di Sciar al Sciatt, lo sterminio e deportazione delle truppe del Muktar, l’uso dell’iprite e del fosgene in Etiopia, il massacro di Debra Libanas, i bombardamenti degli ospedali della croce Rossa. L’elenco sarebbe lungo e non ha senso riportarlo qui, basta un piccolo accenno però a far intendere quanto poco realistico sia il motto: Italiani brava gente.
Ce lo siamo costruiti poco a poco, soprattutto per distinguerci dai cattivi nazisti tedeschi nostri alleati. Noi non le abbiamo mica fatte le porcate, eravamo i buoni dalla parte sbagliata. Non è così. Appena riconquista la libertà dall’occupazione Austroungarica ci siamo lanciati nell’avventura coloniale. Il passaggio da oppressi a oppressori si consuma in appena 8 anni nel 1869 con l’acquisto dall’armatore Rubattino della baia di Assab e si conclude nel 1960 quando a Mogadiscio viene ammainata la bandiera italiana e la Somalia torna a essere unita. Quasi cento anni di occupazione coloniale eppure nessuno, o quasi, lo ricorda.
Acqua di colonia di Frosini e Timpano mette in luce anche il secondo aspetto insito nel motto: la rimozione del ricordo di essere stati colonialisti. In fondo non siamo mica la Francia o l’Inghilterra. Eppure lo siamo stati, abbiamo aggredito popoli che nulla avevano fatto contro di noi, li abbiamo occupati e sfruttati, abbiamo compiuto atti criminali che ci siamo sempre rifiutati di far giudicare, compiuto stupri, massacri, deportato popolazioni, gasato i nemici. Documento sconcertante è Topolino in abissinia (per chi volesse o non credesse ecco il link su Youtube https://www.youtube.com/watch?v=n8xsJMJG1Ho ), dove il volontario Topolino sbarca in Abissinia con il gas nella borraccia e il mitragliatore sulle spalle, pronto a uccidere negri e inviarne la pelle ai suoi che stanno a casa.
La scuola non tratta se non di sfuggita la questione, dalla storia patria i fatti son rimossi, arriviamo addirittura a intitolare a Graziani, macellaio degli arabi, un mausoleo ad Affile nel 2012! Eppure le nostre vie, le nostre strade conservano la memoria: a Roma via dell’Ambaradan, piazza dei 500 (quelli uccisi dagli etiopi, perché le abbiamo anche prese in Etiopia), quartiere Africano a Roma, e qui a Torino piazza Massaua, piazza Bengasi. Ma chi sa dove si trovano questi posti? E siamo al terzo punto della questione: siamo ignoranti della nostra storia, e ignoranti della geografia della nostra storia. E questa ignoranza ci porta al quarto e ultimo punto: oggi, quando in parlamento si parla di Ius soli, quando si tratta di decidere se il figlio di un immigrato nato in Italia debba o meno essere considerato italiano, quando sulle nostre coste arrivano i barconi carichi di immigrati, ci ritroviamo a essere molto lontani dal concetto di: italiani brava gente. Siamo ignoranti e razzisti, e ci nascondiamo dietro a mille misere scuse: c’è la crisi, non ce n’è per noi italiani figurati per questi e così via.
Questi in sunto i punti toccati da Acqua di Colonia di Frosini e Timpano utilizzando ogni genere di materiali dalla cultura alta a quella bassa, dal fumetto (il già citato Topolino in Abissinia), alla rivista (il numero di varietà di Tognazzi/Angus Angeli negri che costituisce il tormentone dello spettacolo), Faccetta nera e l’Aida, Buti e Di Stefano. Si inizia ricordandoci che Adua o Massaua non sappiamo neanche dove siano, ma che ce frega poi? Si domanda. È roba vecchia, perché dovremmo sentirci in colpa? Perché siamo colpevoli noi adesso di quello che è stato fatto allora? Però in fondo affiora la verità: siamo colpevoli perché rimuoviamo, perché reiteriamo gli atteggiamenti.
E così il duo Frosini e Timpano si chiede come raccontarci gli italiani in Africa Orientale e si incomincia ad immaginare la scena: potremmo riempire il palco di animali di peluche, giraffe, rinoceronti, tutti morti e noi entriamo in scena con un bel controluce giallo e le maschere antigas con le orecchie di Topolino, prendiamo ‘sti peluche, li mettiamo nel sacco nero, e ce ne andiamo, il tutto mentre Di Stefano canta Addio, sogni di gloria. Questa sarà l’immagine che chiude lo spettacolo, ma per il momento continua la ridda di soluzioni immaginarie su come raccontare l’Africa degli italiani. E ci si accorge che sulla scena c’è anche una donna di colore, seduta su uno sgabellino, muta presenza a ricordare il rimosso.
E dopo tanto immaginare si incomincia utilizzando un sapiente montaggio delle attrazioni e si costruisce una narrazione che demolisce pezzo a pezzo la menzogna, le difese culturali, i miti intellettualistici: e per far questo compaiono in scena Ninetto Davoli e Pasolini, quasi a replicare il tormentone di Angeli Negri; e Stanlio e Ollio, Indro Montanelli che racconta della sua sposa somala di dodici anni. Spassosissimo il momento in cui frasi di triviale razzismo si scopre essere state pronunciare sia dal barista sotto casa, o dalla cugina, ma anche da Kant, Hegel e Benedetto Croce, perché il razzismo è condiviso, non risparmia nessuno.
Acqua di colonia di Frosini e Timpano è un portento ironico che con l’arma del dileggio stralcia il velo pietoso delle menzogne patrie su una delle pagine più nere della nostra storia. Ma l’ironia, come nel bellissimo Train de vie, arriva giusto a un passo dal traguardo. Il finale dei due Topolino con la maschera antigas in controluce giallo mentre Di Stefano canta Addio, sogni di gloria, è atroce e terribile, e ci ricorda che per quanto ci possiamo ridere sopra abbiamo commesso crimini orribili. Non siamo brava gente, ricordiamolo sempre.